Cheongnyangni 588 – Il quartiere a luci rosse più grande di Seul chiude per sempre

Lontano dai quartieri più popolari e dai luoghi turistici più famosi, nella zona nord-est di Seul troviamo Cheongnyangni (청량리), storicamente un porto interno, crocevia di collegamento tra la capitale e il resto del paese. La stazione di Cheongnyangni, cuore pulsante di tutto il quartiere, fu inaugurata alla fine del 1911, durante l’occupazione giapponese (1910-1945). Nel corso della Guerra di Corea (1950-1953) divenne uno dei poli fondamentali per il trasporto delle truppe da e verso il fronte. Oggi quella di Cheongnyangni rimane una delle principali stazioni della capitale coreana, ospitando numerose linee urbane ed extra-urbane, sia ordinarie che ad alta velocità, di metro, bus e treni.

Pare, che proprio dagli anni delle guerra, a ridosso della stazione, in un dedalo di strade stretto tra la fermata della linea 1 e i binari, sia nato Cheongnyangni 588, il quartiere a luci rosse più grande di Seul. I primi clienti sembrano essere stati proprio i soldati, che durante la guerra circolavano numerosi in quest’area della città. Tuttavia, il “boom” del quartiere fu registrato tra gli anni ’80 e ’90, quando le attività della zona davano occupazione a un numero imprecisato di persone, compreso tra 500 e 1000.

Posizione di Cheongnyangni 588 rispetto alla stazione. Fonte chosun.com.

Il dettaglio ‘588’ nel nome del quartiere (pronunciato oh-pal-pal, let. cinque-otto-otto) pare abbia due possibili origini: potrebbe essere stato un bus che circolava non lontano dalla stazione, oppure semplicemente l’indirizzo dei palazzi della zona. Proprio l’architettura del quartiere ci rivela un risvolto inaspettato. Gli edifici di Cheongnyangni 588 mostrano il chiaro intento per cui furono costruiti. Infatti, si presentano tutti identici, come piccoli appartamenti al piano terra, ognuno con una stanza anteriore non molto profonda e grandi vetrine dal pavimento al soffitto, dalle quali non era insolito vedere giovani donne, talvolta sedute su alti sgabelli, talvolta intente nel ritoccare il trucco o i capelli. Questo tipo di edifici non potrebbe essere utilizzato per nessun altro tipo di attività, dimostrando il chiaro intento dei costruttori. Pare che l’ispirazione per questo tipo di strutture sia stato tratto dal celebre De Wallen, il distretto a luci rosse di Amsterdam.

Alcuni dei molti appartamenti di Cheongnyangni 588. Fonte Google Maps, gennaio 2015.

Il fatto che la prostituzione fu resa illegale nel 2004 in tutta la Corea non sembra aver compromesso immediatamente le attività della zona. Infatti, seppur la società coreana si presenti come conservatrice su molti fronti, la prostituzione era diffusa capillarmente in tutta Seul, e non solo. In questo, come in altri quartieri a luci rosse, furono installati cartelli di divieto di entrata per minori, tuttavia permettendo alle attività di continuare ad operare senza troppi problemi.

Un cartello vieta ai minori l’accesso alla zona. Fonte Google Maps, gennaio 2015.

Ma cosa ha costretto Cheongnyangni 588 a chiudere i battenti allora? Negli ultimi 15 anni molto del mercato del sesso si è sposato online, dove si corrono meno rischi e da dove è più facile raggiungere i clienti, riducendo il mercato “tradizionale” e ridimensionando quindi il numero di attività nella zona. A ciò si è unito qualcosa di ancora più potente, ovvero lo sviluppo economico e urbano di Seul. Dopo molti anni in cui si vociferava di una riqualificazione della zona, verso la fine del 2016 si è iniziato a sgomberare l’area, e nel 2017 l’ultima manciata di lavoratori (una quarantina circa, occupata in 8 bordelli) è stata sfrattata e da allora il progetto per dare un nuovo volto a Cheongnyangni 588 ha avuto inizio. Oggi, dopo la demolizione di tutti i bordelli, è quasi terminata la costruzione di due grattacieli: uno da 65 piani, che ospiterà appartamenti di lusso, e un altro da 42 piani, in cui sorgerà un centro commerciale. Un simile destino era toccato al quartiere a luci rosse vicino alla stazione di Yongsan.

Cheongnyangni 588 prima e dopo il progetto di riqualificazione del quartiere. Fonte Korean Herald.

Ad ogni modo, la decisione di smantellare il quartiere per far posto ai nuovi grattacieli non è stata totalmente indolore. I cittadini che traevano sostentamento dalle attività svolte nella zona hanno continuato ad opporsi a questa iniziativa e a protestare fino all’ultimo, per far sì che la propria voce fosse ascoltata, tuttavia inutilmente. Non sappiamo con precisione che fine abbiano fatto le donne e gli uomini che lavoravano a Cheongnyangni 588. Probabilmente, hanno trovato occupazione in zone e in attività simili, in altre parti della città o del paese. Alcuni cittadini sostengono che il trattamento che è stato a loro riservato sia stato inumano, poiché sarebbero stati costretti a lasciare le proprie attività con troppo poco preavviso, e per i più tenaci ricorrendo anche alla forza. Era stato inizialmente proposto di conservare alcuni degli edifici caratteristici del quartiere, come una sorta di museo a cielo aperto. Tuttavia, una parte dei residenti della zona si è opposta, preferendo una rinascita totale del quartiere, evitando ogni accenno al passato.

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Viola

Seollal (설날) – Il capodanno coreano!

Forse non tutti sapranno che fino al 1896, anno di adozione del sistema gregoriano, in Corea si seguiva esclusivamente un calendario lunisolare, derivato da quello cinese. Sebbene il metodo di dividere il tempo alla maniera occidentale sia stato introdotto più di cento anni fa, le tradizioni legate al nuovo anno si collegano ancora principalmente al capodanno lunisolare, chiamato seollal (설날). Per questo, nonostante anche il capodanno solare (in coreano: sinjeong, 신정) sia festeggiato come nel resto del mondo, ci limiteremo qui a parlare del seollal.

Il seollal (설날) è celebrato alcune settimane dopo il 1 gennaio, in una data variabile tra la fine di gennaio e la prima metà di febbraio (nel 2019 è stato il 5 febbraio, mentre nel 2020 sarà il 25 gennaio). I festeggiamenti si protraggono per tre giorni, coinvolgendo anche il giorno precedente e quello seguente. Questi però sono molto diversi dalla movida dei capodanni occidentali. Questa infatti è una delle festività più importanti della cultura coreana, ma si tratta di una ricorrenza da trascorrere in famiglia.

Per questo motivo le celebrazioni del nuovo anno iniziano generalmente rendendo grazie agli antenati, per poi consumare insieme a tutti i familiari ricette tipiche di questa ricorrenza. Immancabile è la tteoguk (떡국), minestra composta da torta di riso, verdure, manzo e da un brodo limpido. Si consuma di solito anche jeon (전) frittata contenete verdure, carne, pesce, frutti di mare.

Successivamente i bambini si esibiscono nel rito del sebae (세배), inchino tradizionale al quale si prende parte indossando seolbim (vestiti usati soltanto durante il capodanno, hangul: 설빔), davanti agli anziani della famiglia. L’inchino è spesso accompagnato da una frase di augurio come “vi auguro di ricevere molta fortuna nel nuovo anno” (in coreano: saehae bok mani badeuseyo, 새해 복 많이 받으세요), alla quale gli anziani rispondono regalando ai più giovani piccole somme di denaro, avvolte in involucri di seta dalle trame tradizionali.

In questa occasione si approfitta anche per giocare a passatempi come yunnori o yut (윷놀이 o 윷), gioco da tavola durante il quale si lanciano quattro legnetti. Tradizionalmente gli uomini della famiglia si dilettano anche facendo volare aquiloni, mentre le donne si divertono con i gonggi (공기), piccole pietre colorate da far volare in aria e riacchiappare (un video dimostrativo del gioco disponibile qui).

Il capodanno coreano non è solo un’occasione per festeggiare con tutta la famiglia, ma è anche il compleanno di tutti i coreani! (eumnyeok saengil, 음력 생일). Infatti il primo giorno di ogni anno tutti i cittadini del paese “guadagnano” un anno di età, ma avremo modo di approfondire questo argomento con un articolo dedicato al particolare modo di contare gli anni in Corea.

Un’ultima curiosità riguardante il tradizionale calendario coreano: questo viene detto anche calendario Tangun (era Tangun, danggi, 단기), in quanto si fa risalire alla fondazione della Corea da parte di Tangun nel 2333 a.C., di cui abbiamo parlato in questo articolo, l’anno 1. Curiosamente dal 1945 al 1961, seppur utilizzando il metodo gregoriano, si contavano gli anni da questa data. I coreani si ritrovarono quindi a vivere tra il 4278 e il 4294!

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Han (한) – il dolore di un popolo

Spiegare il sentimento di han (한) non è facile, in particolar modo da straniero a straniero. Non esistono infatti parole corrispondenti in nessun altra lingua e si può solo tentare di tradurlo e renderlo comprensibile ai non-coreani.

Quello di han (한) è un profondo sentimento di risentimento, dolore, oppressione, tristezza e isolamento. In modo più pratico, si può definire come la sensazione che ci sia stata fatta un’ingiustizia. L’unicità di questo sentimento nella società coreana corrisponde con la sua pervasività. Si potrebbe dire che virtualmente ogni coreano provi han, al punto che si dice essere una caratteristica di tutto un popolo.

Dalla politica internazionale, alla famiglia, ai drama, l’han (한) regola i sentimenti, le relazioni e i comportamenti dei coreani. Si dice che possa assere attenuato e consolato, ma che non sia possibile estinguerlo. Questo perché per quanto l’han possa avere un fine immediato, si tratta di una generale insoddisfazione e senso di ingiustizia verso la vita.

Il primo a parlare di han (한) fu il controverso critico d’arte giapponese Yanagi Seotsu (柳 宗悦, 1889-1961), il quale identificò nella turbolenta storia coreana la fonte di un’inspiegabile tristezza nell’arte, sviluppando la teoria della “bellezza del dolore” (悲哀の美). Umiliata ed oppressa dagli invasori, tormentata dal proprio isolamento, la Corea avrebbe nascosto con pazienza il proprio dolore, sfogandolo in melanconiche opere artistiche di eccezionale fattura.

Per questo si è iniziato a parlare di han (한) soltanto successivamente alla colonizzazione giapponese del Novecento. Negli ultimi cento anni questo concetto si è diffuso grazie a numerosi studiosi, facendo da collante per la società coreana nel tentativo di affermare la propria identità, in reazione all’occupazione straniera. Come sappiamo, questa non è l’unico dolore sofferto da questo paese nell’ultimo secolo, il quale ha dovuto affrontare anche la vergogna della divisione, sempre per mano straniera. L’han è forse il modo che questo popolo, caratterizzato da un forte senso di collettività, ha trovato per rendere più sopportabile il dolore condividendolo, facendolo proprio e interiorizzandolo.

Ho cercato in queste poche righe di spiegare cosa sia questo singolare sentimento, non senza difficoltà. Spero di aver reso giustizia a questo delicato tema che facilmente si presta a frettolosi giudizi da parte degli stranieri. Un’ultima considerazione a riguardo. Per quanto l’han (한) possa essere una profondissima tristezza, non deve essere scambiato per una cieca depressione. Ne è infatti una componente fondamentale la speranza, sintomo dell’incredibile tenacità di tutto il popolo coreano.

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Jeon Woochi (전우치) – Il Robin Hood coreano

Locandina di uno dei numerosi film su Jeon Woochi (전우치).

Il personaggio di Jeon Woochi (전우치) trova la sua origine in un racconto popolare. Si narra infatti che fosse uno studioso taoista vissuto nell’epoca Joseon (조선, 1392-1897), capace di compiere magie. In quel periodo la Corea fu attraversata da una terribile carestia che portò a numerose morti e lasciò in miseria la maggior parte dei sopravvissuti. Woochi (우치) quindi decise di aiutare i bisognosi attraverso le proprie capacità.

Così andò dal re, al quale raccontò di essere un messaggero celeste e di aver bisogno di oro per costruire un nuovo palazzo in cielo. Il re, ammaliato dalle sue magie, ne fu convinto e donò ad Woochi (우치) l’oro da lui richiesto. Lo studioso però non utilizzò la ricchezza ricevuta né per costruire qualcosa, né per arricchirsi personalmente. Bensì la regalò ai poveri della città, i quali lo acclamarono felici.

Il re adirato ordinò al suo esercito di catturarlo ed ucciderlo, cosa in cui non riuscì mai nessuno, grazie alle doti magiche di Woochi (우치), che gli permisero attraverso numerose peripezie di sfuggire alle guardie reali. Tuttavia egli non voleva disobbedire ad un ordine del re e per questo si recò a palazzo volontariamente. Il sovrano a questo punto, uditi i racconti delle innumerevoli fughe dello studioso e conosciutolo di persona, ne rimase ancora una volta affascinato. Arrivò persino a proporgli una carica governativa, ma Woochi (우치) non poteva certo accettare una tale offerta. Per questo motivo rifiutò gentilmente e sparì.

Una scena dal film omonimo su Jeon Woochi (전우치).

Le vicende di Jeon Woochi (전우치) continuano e sono numerose. Si dice che si spostasse su una nuvola e che andasse per tutto il regno compiendo buone azioni e dando da mangiare agli affamati sempre con l’aiuto della magia. Pare anche che abbia catturato un pericoloso capo di una famiglia di banditi. Le sue gesta però gli costarono l’invidia di molti ufficiali che lo accusarono di complotto e cospirazione. Il re ordinò quindi di nuovo che fosse messo alla forca. Woochi che non poteva certo arrendersi così facilmente, chiese come ultimo desiderio di poter disegnare un cavallo. Accordatogli questa volontà, magicamente il cavallo prese vita e l’indomabile Jeon Woochi (전우치) fuggì di nuovo, questa volta in sella al suo nuovo destriero.

Il racconto popolare si interrompe qui, si hanno tuttavia numerose versione di questa storia e il personaggio di Woochi (우치) ha assunto sfaccettature diverse nel corso dei secoli con anche variazioni nella trama. Nel film del 2009 “Jeon Woo Chi: The Taoist Wizard” per esempio, egli è rappresentato come un taoista indisciplinato e donnaiolo, che utilizza la sua magia per fare scherzi e divertirsi. Su questo personaggio sono stati basati molte serie tv, cartoni animati, drama, ma tutti condividono il tema del mago taoista che utilizza la propria magia per aiutare i bisognosi.

Copertina di un manhwa (만화) dedicato a Jeon Woochi (전우치).

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Tangun (단군) e il mito della fondazione della Corea

Potrà sembrare singolare ma nella tradizione coreana non abbiamo miti sull’origine dell’universo. Troviamo piuttosto numerosi racconti sulla fondazione della nazione.

Come alcuni sapranno, la Corea, prima di diventare tale, è stata terra di fondazione di molti regni, tra i quali ricordiamo Ko Choson (고조선), Koguryo (고구려), Paekche (백제) Kaya (가야) e Silla (신라), ognuno dei quali ha sviluppato un singolare mito sulla propria nascita.

Regni nella penisola coreana.

Queste saghe venivano tramandate oralmente e solo successivamente furono finalmente messe per iscritto, andando a costituire la base delle più autorevoli fonti storiche, mescolando quindi finzione e realtà.

Il più famoso tra questi racconti è probabilmente quello che descrive la fondazione di Ko Choson (고조선), il più antico dei regni sopracitati. Lo possiamo trovare in una delle raccolte storiografiche più importanti della Corea, ovvero in “Memorie storiche dei tre regni” (in coreano: Samguk Yusa – 삼국유사).

Memorie storiche dei tre regni” (Samguk Yusa – 삼국유사).

Tale mito inizia con Hwanung (환웅), figlio del dio del Cielo Hwanin (환인), desideroso di vivere sulla terra e di insegnare agli uomini la civiltà. Il padre divino glielo concede, permettendogli di scendere sulla montagna Baitou (in coreano: Paekdu San – 백두산), e di fondare la Città di Dio (Sinsi – 신시).

Il mito parla di come Hwanung (환웅) abbia insegnato all’umanità la legge, le arti e le scienze. Per la sua grande saggezza gli si rivolgono un’orsa e una tigre, decise nel loro scopo di diventare umane. Il dio glielo concede, consegnando loro aglio e assenzio e ordinando loro di mangiare soltanto quel cibo sacro, mentre per 100 giorni si sarebbero dovute nascondere dalla luce del sole in una caverna.

Hwanung (환웅) con la tigre e l’orsa.

La tigre vìola però questo ultimo comando del dio, uscendo dalla caverna solo dopo 20 giorni. Tuttavia l’orsa riesce a portare a termine la missione e perciò viene trasformata in una donna, detta Ungnyeo (웅녀). Ungnyeo chiede di essere benedetta con un figlio, e per questo Hwanung (환웅) si unisce a lei, generando Tangun (단군), anche detto Tangun Wanggeom (단군왕검).

Tangun, da cui prende il nome questo mito, fonderà il proprio stato, chiamato appunto Choson (조선, l’aggiunta di Ko, che significa vecchio, serve oggi per distinguerlo da una dinastia omonima) e ne stabilirà la capitale nella mitica Asadal (아사달) vicina all’odierna Pyeongyang (평양), città principale della Corea del Nord. Si narra poi che Tangun abbia regnato per mille e cinquecento anni, per poi salire sui monti e mutarsi in dio della montagna.

La figura di Tangun ha attraversato i secoli fino ai giorni nostri, rappresentata in molte opere letterarie ed artistiche. Curiosamente successivamente alla crisi di fine anni ’90 si è deciso di costruire in suo onore più di 300 statue, posizionate in scuole e parchi, come incentivo all’unità nazionale e alla memoria della propria identità culturale. Sfortunatamente molte di queste statue sono state vandalizzate da fanatici cristiani e anti-Corea del Nord. Ciò non toglie che Tangun rimanga una delle figure più importanti della mitologia, e della storia, coreana.

Statua di Tangun (단군).

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